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Les Misérables - Recensione (1)

29/01/2013 | Recensioni |
Les Misérables - Recensione (1)

Grandioso, in una sola parola. Les Misérables, tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo è semplicemente questo, un’imponente trasposizione cinematografica del musical (in realtà più “opera” che musical vero e proprio vista l’assenza di coreografie) di maggior successo nella storia del genere scritto nel 1980 da Alain Boublil e Claude-Michel Schönberg e poi entrato nella storia dopo il debutto a Londra nel 1985 con i testi scritti in lingua inglese da Herbert Kretzmer. Uno spettacolo che ha fracassato tutti i record precedenti per numero di repliche, essendo stato visto da più di 60 milioni di persone in tutto il mondo, rappresentato in 42 paesi e in 21 lingue diverse. Sarà per la forza dei temi universali contenuti in uno dei più grandi romanzi sociali che siano mai stati scritti, sarà per l’eterna lotta tra colpa ed espiazione, che la sua potenza di suggestione resta intatta negli anni, sulle tavole dei palcoscenici come sul grande schermo. 
La storia de Les Misérables segue le peripezie di Jean Valejan (Hugh Jackman), imprigionato per aver rubato un pezzo di pane, che viene rilasciato dopo 19 anni dal suo carceriere Javert (Russell Crowe) che intende tenerlo d’occhio, convinto che uno che ha rubato una volta rimanga ladro per sempre. E così Valejan, che vaga come un reietto, rischia di nuovo di finire in galera ma viene salvato dal  cardinale Myriel di Digne a cui aveva rubato due candelieri d’argento. Colpito da tanta misericordia, inizia una nuova vita e, con il nome di Monsieur Madeleine, diviene sindaco e imprenditore di Montreuil-sur-Mer dove salva dalla prigione l’ex operaia Fantine (Anne Hathway) malmenata in strada e ridotta a prostituirsi per mantenere la figlia Cosette, affidata a due loschi locandieri. Dopo la morte di Fantine, Valejan prende Cosette con sé e promette di crescerla. Ma, nel frattempo smascherato da Javert, deve fuggire verso Parigi dove infuria la rivolta degli studenti.
Sgombriamo subito il campo da equivoci. La magniloquente trasposizione per lo schermo di Tom Hooper (già premiato con l’Oscar per Il discorso del re nel 2011), che ha raccolto otto nomination alle ambite statuette, non è teatro “filmato” ma opera cinematografica a tutti gli effetti. Valga solo l’esempio di alcune sequenze a dimostrare le potenzialità della settima arte come l’ouverture monumentale scandita dal brano “Look Down” che presenta l’opposizione tra Valejan e Javert (un ladro costretto al reato per necessità e un uomo di legge che si ferma alla più inflessibile applicazione delle leggi), un contrasto che percorre tutto il film in una caccia dall’alto valore simbolico. Le note cupe e sincopate della canzone intonata da prigionieri fradici che, incatenati, tirano corde con cui trascinano un grande vascello dentro a un cantiere navale (la location è lo storico quartiere navale di Portsmouth in Inghilterra) danno a questa sequenza un sapore quasi biblico: quei detenuti allineati su diversi gradoni appaiono come anime dannate nei gironi di un inferno tutto terreno.  
Il regista sfrutta in pieno il mezzo cinematografico lavorando sulle inquadrature ravvicinate dei suoi attori nei momenti di maggior pathos. E così ecco lo straziante assolo di Anne Hathaway (nominata all’Oscar e già premiata con il Golden Globe), “I Dreamed a Dream”, in cui esprime il sogno infranto della povera Fantine di amare ed essere amata, l’impagabile numero di Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen (“Master of the House”), gli avidi e cialtroni locandieri Thénardier che sembrano usciti da un vaudeville, leggiadri e bravissimi, simpatiche canaglie che dominano la scena in un vero siparietto pirotecnico, e infine il suicidio nella Senna (ricostruita in Inghilterra nella diga di Avon a Bath) di Javert-Russell Crowe che, dopo aver lasciato andare Valejan, non riesce a vivere sapendo che i suoi rigidi principi di giustizia sono stati infranti. 
Completamente privo di dialoghi recitati ma interamente composto da pezzi di “recitar cantando” e brani cantati perfettamente eseguiti dagli attori tutti promossi a pieni voti (da sottolineare la scelta del regista di riprendere i cantanti “dal vivo” a differenza della consuetudine per questo genere di film di registrare in studio e di recitare in playback rispettando i tempi dell’incisione), il film intreccia storia privata e storia collettiva nel lungo arco narrativo di oltre trent’anni. Canti d’amore, di disperazione e di sfida, brani di guerra, cori patriottici, tutto procede per oltre due ore e mezza. La prima parte è quella in cui il regista riesce meglio a restituire un coinvolgente dualismo tra l’ex galeotto perdonato e redento e l’uomo di legge divenuto persecutore diabolico, mentre la seconda parte allunga il fiato alla ricerca di una dimensione epica in una Parigi rivoluzionaria ben ricostruita ma meno sorretta da tensione emotiva. E alla fine si ha l’impressione che Hooper si sia fatto un po’ troppo sopraffare dallo sfoggio di spettacolarità e magniloquenza.
Un avvertimento, astenetevi se non amate il musical e i grandi affreschi storico-letterari: il film dura ben 152 minuti di lotte per la sopravvivenza dietro le barricate della storia e della vita, ma soprattutto di una guerra mossa dalla sete di giustizia e libertà in nome della dignità umana e della lealtà, parole oggi forse un po’ fuori moda.

Elena Bartoni 
 

 


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